Scioperi controllati: il dissenso che non disturba 
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Scioperi controllati: il dissenso che non disturba 

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Dietro uno sciopero che sostiene grandi cause, qualcosa non torna. Un’analisi della realtà oltre la facciata della lotta

Venerdì 11 aprile 2025 è stato proclamato uno sciopero generale di tutti i settori pubblici e privati. A comunicarne le motivazioni è stato il sindacato S.I. Cobas che, tra i vari punti, ha richiesto il blocco delle spese militari e dell’invio di armi in Ucraina, la fine dell’occupazione coloniale della Palestina e un aumento generalizzato di 300 euro per tutti i lavoratori pubblici e privati, a compensazione dell’inflazione.

Motivazioni importanti, senza dubbio. Ma viene da chiedersi: come è possibile che uno sciopero così carico di significati venga autorizzato, senza che siano interposti veri ostacoli o tentativi di reprimerlo?

Perché alcune forme di dissenso, per quanto appaiano radicali, vengono tollerate e persino amplificate dai media?

Il sospetto è che si tratti di un dissenso che non disturba, o meglio, di un dissenso che viene incanalato, gestito, neutralizzato nella sua efficacia reale.

Chi subisce gli effetti di questi scioperi? I cittadini comuni. Chi ci guadagna? Chi continua a gestire il potere economico e geopolitico, senza che venga realmente intaccato da queste manifestazioni.

Spesso, certi “scioperi” sono orchestrati per incanalare il malcontento senza mai sfiorare i veri centri di potere. Una valvola di sfogo utile solo in apparenza perché, alla fine, a trarne vantaggio sono proprio i poteri che andrebbero contrastati.

La ribellione vera non è quella che blocca un treno per un giorno. È quella che i binari li percorre per smascherare le logiche di fondo.

Che denuncia, sì, le guerre e la colonizzazione, ma non si limita alla ritualità sindacale. Perché le guerre si fermano se smettiamo di sostenerle anche indirettamente attraverso il consumo selvaggio, l’informazione manipolata, il consenso cieco.

La resistenza autentica è consapevolezza. Non è uno sciopero di qualche ora, ma un atto quotidiano. Una presa di posizione strategica, lucida, che non ha bisogno di megafoni ma di coerenza.

BOX 1 – Perché questi scioperi favoriscono il potere che fingono di combattere

Distrazione e divisione del fronte popolare

Gli scioperi “ad alta intensità simbolica” come quello dell’11 aprile, finiscono spesso per convogliare l’attenzione pubblica su questioni giuste, ma in modo emotivo, caotico e poco risolutivo.

Il sistema li tollera — e talvolta li favorisce — perché servono a sfogare la rabbia collettiva senza generare un cambiamento strutturale. Così la popolazione si divide tra pro e contro, invece di unirsi in un’azione consapevole e trasversale.

Blocco di servizi utili alla popolazione, non al potere

Quando si fermano i trasporti, la scuola, la sanità, non si colpiscono i palazzi del potere, ma le persone comuni. Il disagio ricade su chi lavora, studia, si sposta.

Il potere resta intatto. Anzi, può approfittarne per screditare le proteste e guadagnare consenso, accusando “l’irresponsabilità” dei lavoratori che scioperano.

Il sistema integra il dissenso per legittimarsi

Concedere “zone sicure” per lo sfogo (scioperi, manifestazioni, talk show) permette al sistema di mostrarsi democratico, pur mantenendo tutto sotto controllo.

È un modo sottile per dire: “Vi lasciamo protestare, quindi non potete dire che siete oppressi.” Ma intanto, le decisioni vere si prendono altrove, in silenzio.

Nessun impatto reale sui centri di potere economico e militare

Uno sciopero che chiede la fine dell’invio di armi non può ottenere risultati se non si va a intaccare chi produce quelle armi, chi le finanzia, chi le legittima mediaticamente.

E questo richiede un altro tipo di strategia: boicottaggi mirati, controinformazione, disobbedienza civile non violenta, creazione di reti autonome.

Il potere si nutre della nostra prevedibilità

Se il dissenso è previsto, gestito e recintato, non fa più paura. La vera minaccia per il sistema è l’imprevedibilità lucida, il risveglio collettivo che non cerca il nemico da fuori, ma smonta il meccanismo dall’interno, senza avvisare.

Non è il contenuto delle rivendicazioni a essere sbagliato, quindi. È il formato in cui viene incanalato il dissenso a essere innocuo, se non complice spesso involontario.

BOX 2 – Gli effetti collaterali nascosti: chi paga davvero il prezzo degli scioperi?

Oltre al dibattito politico e simbolico, certi scioperi comportano danni reali e immediati, spesso ignorati

Danni economici ai piccoli commercianti

Mentre la grande finanza non si ferma mai, i piccoli negozi, le attività artigiane, le botteghe di quartiere subiscono un calo netto dei clienti e degli incassi.

Un venerdì di sciopero nei trasporti, con scuole e uffici rallentati, significa meno persone in giro, meno consumi, più perdite per chi vive dell’economia reale.

Paradossalmente, a soffrire non sono “i potenti”, ma proprio quella parte di società che si vorrebbe difendere.

Danni alla salute e incremento dello stress sociale

Disservizi, traffico in tilt, ritardi, appuntamenti saltati, file interminabili. Questo quadro aumenta il livello di stress collettivo, genera frustrazione e tensione.

C’è chi perde una visita medica, chi accumula ore di viaggio, chi arriva tardi al lavoro e si vede penalizzato.

Il risultato? Una società più stanca, più nervosa, più polarizzata. Proprio ciò che il potere ama: cittadini divisi, sfibrati, esausti.

Danni ambientali da congestione urbana

Con i mezzi pubblici fermi, aumenta l’uso delle auto private. Più traffico, più smog, più emissioni di CO2. Lo sciopero diventa così anche un evento ecologicamente dannoso, soprattutto nei grandi centri urbani, dove ogni blocco dei trasporti pubblici si traduce in una valanga di problemi ambientali.

Un controsenso per chi, magari, protesta anche in nome della giustizia climatica.

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