L’erionite si rivela un killer silenzioso più letale dell’amianto. Uno studio italiano ha svelato il suo devastante meccanismo d’azione
L’erionite è un minerale del gruppo delle zeoliti, presente comunemente nelle rocce vulcaniche e impiegato in diversi settori, dall’edilizia all’agricoltura. A differenza della maggior parte delle zeoliti, generalmente sicure per la salute umana, l’erionite, se inalata, è altamente tossica con una pericolosità che supera di centinaia di volte quella dell’amianto.
Come evidenziato dal Centro Nazionale delle Ricerche (CNR), in Anatolia centrale, Turchia, gli abitanti di tre villaggi (Karain, Tuzköy e Sarihidir) l’hanno utilizzata inconsapevolmente per costruire abitazioni ed edifici, ignari della sua pericolosità. Il tufo friabile che hanno impiegato ricco di erionite, celava un rischio letale che ha contribuito all’insorgenza di cancro nella popolazione locale.
Il meccanismo d’azione dell’erionite
Grazie a uno studio condotto dall’Università Sapienza di Roma, dall’Università di Genova, da ENEA e dal Centro Interuniversitario 3R di Pisa, è stato finalmente chiarito il meccanismo d’azione dell’erionite, fino a oggi poco compreso. La sua pericolosità non si limita a provocare la morte cellulare. Una volta entrata nell’organismo, l’erionite può continuare a causare danni incessantemente. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sul Journal of Hazardous Materials.
Il team, guidato da Paolo Ballirano della Sapienza, ha studiato le modifiche strutturali e chimiche che subiscono le fibre di erionite quando vengono ingerite dai macrofagi polmonari, le cellule immunitarie deputate alla rimozione di particelle estranee.
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I ricercatori hanno scoperto che l’erionite altera il pH interno di queste cellule e compromette il funzionamento dei lisosomi, organelli fondamentali per la degradazione dei materiali estranei.
“L’innalzamento del pH cellulare fa inoltre aumentare la richiesta di energia, che viene soddisfatta da un’iperattivazione dei mitocondri, le centrali energetiche della cellula”, precisa Sonia Scarfì dell’Università di Genova e del Centro 3R, tra gli studiosi coinvolti in prima linea. “Il risultato è un aumento della produzione di radicali liberi e la sofferenza dei mitocondri, che può portare alla morte cellulare“, prosegue l’esperta.
I ricercatori sottolineano inoltre che la notevole stabilità chimica dell’erionite nei fluidi biologici rende questo meccanismo potenzialmente infinito, alimentando uno stato di infiammazione cronica e un potenziale sviluppo di cancro.

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