Riletto in un’epoca segnata dalla pandemia globale e dalla crisi dell’umanità, Frankenstein di Mary Shelley si rivela un’opera di straordinaria attualità, capace di offrire nuove chiavi di lettura tra solitudine, limiti etici della Scienza e rinascita della dimensione umana
Nel 1818 Mary Shelley pubblicava Frankenstein, or the Modern Prometheus, un romanzo destinato a diventare uno dei pilastri della letteratura gotica e fantascientifica. Oggi, a più di due secoli dalla sua pubblicazione, l’opera torna a imporsi come strumento interpretativo della nostra realtà, specialmente dopo l’esperienza della pandemia di Covid-19.
In un mondo ferito, segnato dall’isolamento sociale, dalla crisi climatica, dalla perdita dei riferimenti etici, la creatura di Victor Frankenstein ci appare come uno specchio del presente.
Cosa leggerai nell'articolo:
Il Prometeo moderno e il mito della hybris scientifica
Al centro del romanzo, Victor Frankenstein incarna l’archetipo dello scienziato che sfida i limiti naturali, rianimando la materia morta attraverso esperimenti pionieristici. Questa tensione tra conoscenza e responsabilità è oggi viva più che mai: dal dibattito sull’Intelligenza Artificiale alla Bioingegneria, dalla manipolazione genetica alla farmacologia pandemica, emerge con forza il rischio dell’hybris tecnologica.
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Come ha sottolineato The Guardian nell’articolo Why Frankenstein is the perfect novel for our age of anxiety del 2021, la figura dello scienziato solitario di Shelley è oggi paragonabile a quella del virologo o del data scientist chiuso in laboratorio, intento a “salvare il mondo”, ma sempre più distante dal tessuto umano e relazionale della società.
Solitudine, esclusione e perdita dell’identità
La Creatura – erroneamente confusa con il suo creatore – è il cuore del romanzo. Abbandonata, incompresa e temuta, incarna la sofferenza del diverso, dell’emarginato, dell’umano incompleto. Dopo la pandemia, questa figura risuona in modo particolarmente potente: milioni di individui si sono ritrovati isolati, spezzati nei legami affettivi, segnati psicologicamente.
Secondo diversi studi, i disturbi legati all’isolamento post-pandemico hanno avuto un impatto senza precedenti, con picchi di depressione, ansia e alienazione sociale. La Creatura di Shelley, dunque, può essere riletta come un simbolo archetipico di questo trauma collettivo.
Rinascita e rigenerazione: il potere della narrazione
Eppure Frankenstein non è solo un racconto di disintegrazione. È anche – seppur tragicamente – una storia di ricerca di amore, di ascolto e di legami. La Creatura desidera disperatamente essere accolta, educata, rispettata. Questo anelito alla relazione si traduce oggi in una rinnovata urgenza di umanità, di coesione, di consapevolezza.
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Nel 2023, l’Università di Oxford ha promosso un ciclo di conferenze intitolato “Reimagining Frankenstein after Covid-19”, in cui studiosi di tutto il Pianeta hanno riflettuto sul valore trasformativo della letteratura nei tempi di crisi, sottolineando come il romanzo possa contribuire a una “rigenerazione dell’umano” attraverso l’empatia e l’autocritica.
Una lettura per l’era della transizione
Nel pieno della transizione ecologica, tecnologica e sociale che stiamo vivendo, rileggere Frankenstein diventa un gesto politico e culturale. Il romanzo di Mary Shelley non ci parla solo del passato, ma ci interroga sul futuro: che tipo di umanità vogliamo essere? Quali limiti siamo disposti a porre alla Scienza? Come riscoprire il valore della relazione e della responsabilità?
In questo senso, Frankenstein si conferma un’opera profetica, capace di attraversare i secoli e di risuonare con le crisi e le rinascite di ogni epoca.
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